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			Calipari operava in Iraq con il grado di 
			capo dipartimento del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza 
			Militare (SISMI): 
			di fatto si trattava del numero due (secondo solo al 
			Direttore Generale) nell'ambito del Servizio segreto e del numero 
			uno per le operazioni estere. A seguito delle circostanze della 
			sua morte, a Nicola Calipari è stata conferita motu proprio 
			il  
			22 marzo
			
			
			2005 dal
			
			
			Presidente della Repubblica,
			
			
			Carlo Azeglio Ciampi, la
			
			
			Medaglia d'Oro al Valor Militare 
			(alla memoria).
			
			 
			
			La sua morte ha causato attriti 
			diplomatici fra
			
			
			Italia e
			
			
			Stati Uniti d'America (tanto che 
			molti hanno subito richiamato la
			
			
			strage del Cermis, che pure portò 
			ad attriti tra i due paesi), e la magistratura italiana ha aperto 
			un'inchiesta sulla vicenda, incriminando il soldato USA Mario Lozano 
			per l'omicidio volontario consumato ai danni di Calipari e il 
			tentato omicidio volontario di 
			
			Giuliana Sgrena e dell'autista (un 
			maggiore dei
			
			
			Carabinieri in forza al SISMI) del 
			mezzo sul quale l'alto funzionario viaggiava quando venne ucciso, 
			entrambi rimasti feriti.
			 
			
			Nicola Calipari è stato un valente 
			funzionario di 
			
			polizia, che dopo oltre 20 anni di 
			servizio nel Corpo (si era arruolato nel
			
			
			1979) fu richiesto dal SISMI nel
			
			
			2002 e fu assegnato ad uffici 
			operativi. Calipari era già stato mediatore, sempre nei territori 
			dell'Iraq, nelle trattative felicemente concluse per la liberazione 
			di 
			
			Simona Pari e
			
			
			Simona Torretta. 
			 
			 
			
			La sera del
			
			
			4 marzo
			
			
			2005 un'autovettura dei servizi 
			segreti italiani con a bordo
			
			
			Giuliana Sgrena e Nicola Calipari, 
			giunta nei pressi dell'aeroporto di 
			
			Baghdad transitava in direzione di 
			un posto di blocco statunitense. La giornalista era stata appena 
			rilasciata dai rapitori, a conclusione di una lunga trattativa 
			condotta in prima persona dal Calipari (che aveva appena comunicato 
			telefonicamente ad uffici del 
			
			governo di
			
			
			Roma il felice esito 
			dell'operazione e ne aveva informato anche l'ambasciata). La strada 
			su cui si trovavano, la Route Irish, era presidiata a causa 
			delle frequenti azioni ostili nella zona (135 da novembre a marzo, 
			per la maggior parte fra le 19 e le 21, l'ora in cui transitava 
			l'auto del SISMI), ma soprattutto per il previsto passaggio 
			dell'allora
			
			
			governatore di Baghdad.
			
			All'approssimarsi del veicolo alla zona 
			vigilata, lo stesso fu fatto segno di numerosi colpi d'arma da 
			fuoco; Calipari si protese per fare scudo col suo corpo alla 
			giornalista e rimase ucciso da una pallottola che lo colpì alla 
			testa. Anche la giornalista e l'autista del mezzo rimasero feriti.
			
			A sparare è  stato Mario Lozano, 
			della 
			
			New York Army National Guard, 
			fuciliere al posto di blocco. Si è sospettato che anche altri 
			soldati possano aver sparato.
			 
			
			
			Ricostruzioni
			
			Sono state prodotte due versioni 
			dell'accaduto, una italiana ed una americana, fra loro contrastanti 
			in molti punti.
			
			 
			
			 Ricostruzione 
			italiana
			 
			
			Dei sopravvissuti all'episodio le 
			testimonianze sono principalmente quelle della Sgrena, giacché 
			l'autista, anch'egli appartenente al SISMI, non ha ovviamente 
			rilasciato dichiarazioni pubbliche, sebbene abbia riferito 
			dell'accaduto per via gerarchica.
			
			Come riferito da autorità governative, 
			la Sgrena e l'autista hanno sostenuto di aver visto, dopo una curva 
			(che li avrebbe fatti rallentare fino ad una velocità massima di 
			circa 50 km/h), una luce accecante e poi di aver udito subito dopo 
			l'esplodere di numerosi colpi d'arma da fuoco (diverse centinaia, 
			secondo la giornalista, protrattisi per 10-15 secondi a dire 
			dell'autista).
			
			Giuliana Sgrena ha aggiunto che non si 
			trattava di un posto di blocco e che la pattuglia dei soldati USA 
			non aveva fatto alcun segnale per identificarsi o per intimare 
			l'"alt", come era invece regolarmente accaduto negli altri posti di 
			controllo precedentemente attraversati, iniziando decisamente a 
			sparare contro la loro automobile.
			
			La giornalista dichiarò inoltre che i 
			sequestratori, poco prima della liberazione, le avevano detto che 
			gli statunitensi non volevano che tornasse viva in patria.
			
			 
			
			 Ricostruzione 
			statunitense
			 
			
			Secondo il governo statunitense, la cui 
			versione è stata diffusa il
			
			
			1 maggio
			
			
			2005, l'auto su cui viaggiava la 
			Sgrena viaggiava ad una velocità prossima ai 100 km/h. I militari 
			del check-point 541 avrebbero seguito la
			
			
			procedura delle quattro S.
			
			Nel corso della sparatoria, alcuni dei 
			proiettili sarebbero stati accidentalmente deviati ed uno avrebbe 
			centrato alla testa Calipari, protesosi in avanti per proteggere con 
			il suo corpo la giornalista.
			
			I funzionari statunitensi hanno inoltre 
			asserito che nessuno era a conoscenza dell'operazione condotta dal 
			SISMI, né dell'identità delle persone a bordo di quell'auto, 
			regolarmente presa a nolo all'aeroporto di Baghdad.
			
			Il rapporto americano era inizialmente 
			uscito con numerose censure (per circa un terzo dell'elaborato), che 
			mascheravano sotto strisce nere i nomi dei soldati implicati ed 
			altri dettagli; pubblicato su Internet in formato .pdf, il documento 
			fu decifrato con una certa semplicità.
			
			L'inchiesta effettuata dai militari 
			statunitensi ha concluso che la sparatoria avvenuta il 4 marzo 2005 
			al posto di blocco presso l'aeroporto di Baghdad è stata «un tragico 
			incidente».
			
			 
			
			
			Differenze tra le ricostruzioni
			 
			
			La differenza principale, fra le due 
			versioni, è costituita dalla velocità alla quale il veicolo italiano 
			si muoveva, che secondo gli statunitensi era di circa 100 km/h, 
			mentre secondo gli italiani era di circa la metà. L'importanza di 
			questo fattore risiede nella motivazione dell'azione dei soldati, 
			che lo avrebbero (se fosse davvero stato veloce) potuto confondere 
			con un possibile attacco mediante auto-bomba, tecnica peraltro 
			davvero in uso da quelle parti.
			
			Un'altra divergenza riguarda la 
			richiesta di arresto del mezzo per controllo, che secondo gli 
			statunitensi sarebbe stata operata correttamente, mentre secondo gli 
			italiani non vi sarebbe stata affatto, mancando la segnaletica e non 
			essendovi stati cenni o altre indicazioni in questo senso.
			
			Se secondo gli italiani le forze 
			americane erano state correttamente avvertite, dall'altra parte si è 
			ribattuto che gli italiani non avevano invece dato avviso alcuno 
			delle loro attività nella zona.
			 
			
			
			Sospetti
			
			La vicenda ha scatenato una tempesta di 
			reazioni motivate da ragioni umane,
			
			
			politiche e patriottiche. 
			 
			
			
			Era noto infatti che già il governo 
			americano si era espresso in senso fortemente critico nei confronti 
			dei servizi segreti italiani, che non avevano esitato (si sostiene 
			da quella parte) a pagare ingenti riscatti per la liberazione di 
			altri sequestrati in Iraq; tale condotta, si stigmatizza, 
			costituirebbe un pericoloso incentivo per le bande criminali a 
			compiere altri sequestri di persona. Lo stesso Calipari, nel caso, 
			sarebbe stato ben diretto destinatario di tali critiche, vista la 
			centralità del suo ruolo in trattative tenute per precedenti 
			rapimenti.
			
			Ma anche volendo supporre che non vi 
			fosse una volontà di colpire proprio il Calipari (o la Sgrena, cui i 
			rapitori, liberandola, avevano peraltro segnalato che gli Stati 
			Uniti non avrebbe gradito un suo ritorno a casa), si è sospettato 
			che l'accaduto fosse frutto di una disinvoltura tutta americana 
			nelle faccende di armi.
			
			Va detto che un'efficace analisi del 
			tutto matematica, effettuata a tavolino sulle possibili tempistiche 
			verificabili con l'una e con l'altra delle velocità rispettivamente 
			dichiarate, condurrebbe alla conclusione che se anche vi fosse stato 
			avviso, non si sarebbe lasciato ai malcapitati il tempo di 
			arrestarsi prima che venisse aperto il fuoco.
			
			Da molte parti si è poi avanzata una 
			ferma richiesta di rispetto della dignità nazionale, già - a dire di 
			alcuni - vilipesa dalla condotta delle istituzioni statunitensi nel 
			caso della strage del Cermis, i cui responsabili erano stati tutti 
			assolti o condannati a pene considerate irrisorie. Si richiese, in 
			pratica, che se in questo caso si fossero accertate responsabilità, 
			gli eventuali colpevoli fossero, stavolta, davvero sanzionati.
			
			 
			
			
			Inchieste
			
			Al fine di stabilire cosa sia veramente 
			accaduto, negli Stati Uniti è stata istituita una commissione 
			d'inchiesta, ai cui lavori sono stati ammessi osservatori italiani 
			nell'intento di produrre una relazione conclusiva comune, che 
			potesse fugare qualsiasi dubbio circa la correttezza nei rapporti 
			fra le due nazioni, giusta quanto ora detto circa gli umori popolari 
			in Italia.
			
			In Italia, la magistratura ha incontrato 
			difficoltà ed impedimenti nello svolgimento della funzione 
			inquirente a causa del particolare status della zona in cui 
			si sono svolti i fatti, che risultava essere territorio iracheno 
			sottoposto a controllo militare e sovranità di fatto statunitense; 
			negato dagli Stati Uniti il permesso di far analizzare a tecnici 
			della polizia scientifica italiana il veicolo su cui viaggiava 
			Calipari, i giudici hanno dovuto attendere la conclusione dei 
			rilievi statunitensi per poter avere a disposizione il mezzo. Il 
			diniego, motivato con esigenze di natura militare, ha di fatto 
			provocato lo scadimento del valore probatorio del reperto, rendendo 
			l'esame assai meno attendibile.
			
			 
			
			
			Rinvio a giudizio
			 
			
			
			 La
			
			
			Procura della Repubblica di
			
			
			Roma il
			
			
			19 giugno
			
			
			2006 ha formalizzato la richiesta 
			di rinvio a giudizio per il militare americano
			
			
			Mario Lozano, imputato per la morte 
			di Nicola Calipari e per il ferimento della giornalista Giuliana 
			Sgrena: il processo contro Lozano sarebbe possibile, secondo la 
			Procura di Roma, essendo stata ipotizzata a suo carico la 
			responsabilità in un "delitto politico che lede le istituzioni dello 
			Stato italiano", un fattispecie riconducibile all'articolo 8 del
			
			
			Codice di procedura penale che 
			consente di procedere contro chi abbia arrecato offesa a interessi 
			politici dello Stato. L'iniziativa è stata assunta in quanto Mario 
			Lozano risulta irreperibile ed è mancata la collaborazione richiesta 
			e non ottenuta dagli USA, avendo le Autorità americane respinto 
			anche una rogatoria internazionale presentata dalla Procura di Roma.
			
			Del caso Calipari il ministro degli 
			Esteri 
			
			Massimo D'Alema ha parlato con il 
			segretario di Stato
			
			
			Condoleezza Rice, nel corso della 
			sua visita a Washington del giugno 2006, lamentando una 
			«collaborazione insufficiente fino a questo momento» da parte degli 
			statunitensi sulla vicenda; il portavoce del Dipartimento di Stato 
			Adam Ereli ha così commentato: «Se gli italiani hanno 
			preoccupazioni, le affronteremo