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I PRIMI TEMPI IN AMERICA

 

 

 

 I PRIMI LAVORI

 

Delia Socci Skidmore

 

 E`vero che gli italiani hanno sempre incontrato ostilita` e ogni forma di discriminazione. E`anche vero che molto tempo fa venivano trattati come schiavi e alla sera dopo il lavoro gli operai venivano rinchiusi in un capannone per non farli scappare. Raccontava un mio pro zio che emigro`verso il 1920 quando in America avevano cominciato a  costruivano le ferrovie. Gli operai seguivano il lavoro man mano che avanzava da uno stato all’altro smantellavano il capannanone e lo ricostruivano dove si sistemavano per un tempo del lavoro. Il lavoro di mio zio  era di dare colpi sul bullone di acciaio con la mazzetta  mentre un altro uomo reggeva il bullone.

E siccome l’acciaio faceva scintille che avrebbe potuto provocare un incendio, come infatti spesso succedeva,a lui gli legavano alla caviglia un secchiello d’acqua e tra una martellata  e l’altra doveva versare, piegando il piede, dell’acqua sull’acciaio per evitare l’incendio. Da lontano i superiori sorvegliavano il lavoro e se uno si fermava e alzava la schiena anche per poco, li prendevano a sassate.

Quindi lavoravano con mani e piedi in condizioni deploranti per guadagnare un po di soldi per mandare alla famiglia rimasta iin patria . Riuscivano anche a mettere da parte il gruzzoletto che si riportavano al ritorno per comprarsi un po` di terreno da lavorare e non dipendere ai ricchi possidenti del paese che li sfruttava tale e quale come facevano in America ma con una gran differenza, in America venivano pagati, anche se poco, mentre in Italia li pagavano solo con qualche scodella di minestra o un pezzo di formaggio che loro stessi avevano fatto per i signori padroni. Anche in America gli italiani che avevano aquistato una posizione di autorita` sul campo del lavoro trattavano i nuovi arrivati con la stessa malvagita` degli irlandesi che a quel tempo avevano fatto carriera

Poi dopo l’ultima guerra siamo arrivati noi il grande influsso degli anni ’50.Abbiamo trovato un ambiente molto piu` accogliente grazie ai sacrifici dei nostri antenati. Al contrario di loro noi siamo venuti per stare e stabilirci con la famiglia nella nuova terra. Non eravamo chiamati“ birds of passage”. 

Pero`se ci riflettiamo un momentino possiamo anche immaginare,se non sempre capire, perche ci trattavano con tanta avversita`. Arrivavamo in un altro mondo cosi completamente diverso dal nostro. Parlavamo una lingua strana, vestivamo strano, avevamo un aspetto diverso ,mangiavamo strani  cibi e non sapevamo ne` capo ne`coda della nuova terra che ci ospitava. Se si sentivano al di sopra di noi e perchè  eravamo noi a venire in casa loro, se ci guardavano con sospetto forse non e` poi una cosa tanto strana.

Nei miei 50 anni di vita in America ho subito come milioni di altri italiani, molte forme di ostilita` e discriminazione `ma non ho mai visto ne` sentito un rappresentante del governo italiano, uno “ dei nostri” che si sia interessato del nostro stato, se avevamo lavoro, se ci imprigionavano senza prove, se violavano i nostri diritti personali. Il governo italiano ci ha abbandonati completamente e dimenticato che c’eravamo anche noi.

Se abbiamo “fatta fortuna” ,come si diceva allora, non lo dobbiamo certo al nostro governo ma al duro lavoro al nostro persistere e alla nostra volonta`di farcela in una terra che malgrado tutto offriva piu`che la nostra amata Italia . Non solo, il nostro scopo principale, la nostra mira piu importante era di costruire un solido futuro per i nostri figli, cosi essi non sarebbero stati sottoposti alle  stesse ingiustizie. 

Oggi posso dire che in gran parte ci siamo riusciti. 

 

 

 

 

“DOVE ANDAVANO GLI EMIGRANTI 

 

Gianfranco Galliani Cavenago – Ecoistituto della Valle del Ticino  

http://www.ecoistitutoticino.org/emigrazione/cavenago2-6.htm

  

 

 

Dove andavano i nostri emigrati quando, bene o male, trovavano un tetto, una sistemazione? Come dicevamo prima, nessuno di loro andava a fare il contadino, anche se ci fu qualche esperienza di colonizzazione agricola, come ad esempio a Tontitown o a Vineland nel New Jersey e in altri luoghi. Si è però trattato di eccezioni che hanno confermato la regola, e la regola era che i nostri emigranti contadini, arrivati in America, si proponessero come manovalanza generica, dequalificata, disponibile per i mille mestieri. Molti di loro si inurbarono nelle grandi città, a New York soprattutto, altri a Chicago, a Detroit, a Baltimora, a St. Louis i nostri compaesani, adattandosi a fare i lavori più umili: a costruire, per esempio, la metropolitana di New York; a pavimentare le strade; a costruire le fognature; se erano ragazzi, a fare i lustrascarpe, gli strilloni di giornali; se erano donne, ad andare a lavorare nelle fabbriche tessili, oppure a fare il lavoro a domicilio; e così via. Sono centinaia di migliaia i nostri connazionali lavoratori che accettarono questi lavori umili, dequalificati, che nessuno più voleva fare; lo facevano prima gli irlandesi, ma gli irlandesi, tutto sommato, si erano inseriti; toccava a noi. Se non si inurbavano nelle grandi città, gli emigrati, attraverso i boss, venivano mandati sostanzialmente in due luoghi di lavoro: a costruir le ferrovie - alla “tracca”, come si diceva -, cioè a fare i manovali nelle costruzioni ferroviarie, oppure in miniera. Un manovale italiano immigrato, per dare un’idea di quanto guadagnasse, nelle ferrovie otteneva, all’inizio del Novecento, da 1 dollaro a 1,20 dollari al giorno. Allora un dollaro equivaleva a 5 lire e 25 centesimi e un operaio italiano, lavorando in patria, al massimo riusciva a guadagnare 2 lire al giorno.

Il salario americano era quindi percepito dal nostro emigrante come un buon salario, di gran lunga superiore a quello guadagnato in patria.

I nostri emigrati che lavoravano in miniera guadagnavano ancora di più. 

Le testimonianze del tempo dicono che si poteva, in via eccezionale, arrivare addirittura a 5 dollari al giorno e, comunque, si guadagnavano mediamente 2,5/3 dollari al giorno, una cifra notevolissima. C’è però da dire che il lavoro dei nostri connazionali, soprattutto quello in miniera, era un lavoro pericolosissimo e le miniere americane erano le più pericolose del mondo perchè non c’era sicurezza. Le statistiche ufficiali ci dicono che, nel decennio 1900-1910, nelle miniere americane di ferro o di carbone - le miniere di ferro della zona dei grandi laghi o quelle di carbone di Thurber nel Texas o di altri luoghi - morirono 30.000 minatori, tra i quali agli italiani spetta il primato negativo, e un numero imprecisato, tantissimi, rimasero mutilati. In miniera ci si ammalava anche di tubercolosi: ogni anno rientravano in patria qualcosa come 1.000 nostri connazionali minatori che avevano contratto la tubercolosi.

Forse il quadro che vi sto dando può sembrare troppo catastrofico, troppo negativo, eppure è così, le cifre che vi ho esposto sono le cifre ufficiali delle nostre autorità consolari, non vi sto raccontando opinioni mie, ma fatti che sono spesso al di sotto della realtà. 

Per tornare al pericolosissimo lavoro nelle miniere, quando succedeva un infortunio, mortale o meno, le compagnie minerarie non risarcivano un bel niente. Perchè? Per due motivi. Si diceva: voi lavorate a cottimo (perché i nostri minatori lavoravano quasi sempre a cottimo) e quindi siete dei lavoratori autonomi – come potremmo definirli con un termine moderno -, sta a voi organizzare la vostra sicurezza e se vi fate male peggio per voi. Questo il primo motivo. Secondo motivo, i nostri minatori non erano, nella maggioranza dei casi, cittadini americani e questa era una ragione sufficiente per non risarcire niente. I nostri minatori, quindi, si ammalavano e morivano e di queste tragedie, di cui la stampa italiana rarissimamente dava notizia, ce ne furono tantissime.

 

 

Iron Mountain, Michigan, 3 agosto 1901

 

“Al sindaco di Turbigo

Il sottoscritto reverendo Beniamino Berto, parroco della chiesa italiana di Iron Mountain, afferma che Francesco Garavaglia, nato a Turbigo in provincia di Milano, morì per infortunio avvenuto nella miniera di ferro di Iron Mountain in Michigan, Stati Uniti d’America, e furongli fatte le cerimonie religiose nella chiesa francese il giorno 31 ottobre 1894, essendo rimasto insepolto per 6 giorni dalla morte avvenuta il 25 ottobre 1894.

In fede

Beniamino Berto, parroco”

 

 

Regio Consolato Generale Italiano, 10 febbraio 1923

Oggetto: disastro minerario di Dawson New Messico

“Al sindaco di Turbigo 

Egregio signor sindaco 

È per debito d’ufficio che adempio il doloroso compito di render noto alla signoria vostra illustrissima che nel disastro minerario di Dawson, New Messico, avvenuto il giorno 8 corrente, in una miniera di proprietà della F… Dawson Corporation perirono 120 minatori, 21 de quali erano nostri connazionali. Nell’elenco delle vittime figurano i nomi dei fratelli Antonio e Alessandro Zanoni appartenenti a codesto comune ove, a quanto mi si afferma, risiederebbero i loro congiunti. Qualora costoro desiderano che questo regio ufficio s’occupi del ritiro delle rispettive attività successorie sarà necessario che mi inviino analoga procura, unisco il modulo in inglese, la quale dovrà essere firmata o croce segnata da loro e poscia autenticata da vostra signoria. 

Circa l’indennità spettante al coniuge e ai figli minorenni, ed in loro mancanza ai genitori, devo far sapere che secondo le regole e le leggi del New Mexico essa viene accordata alle famiglie residenti all’estero solo nel caso che si possa fornire la prova che il sinistro avvenne per colpa o per negligenza della compagnia datrice di lavoro.

Il Regio console generale”

  

Chicago, 28 dicembre 1912

Il regio consolato d’Italia al sindaco di Cuggiono

“Signor sindaco, 

Per opportuna partecipazione agli interessati costì residenti, mi pregio comunicare alla signoria vostra illustrissima il decesso del connazionale Puricelli Luigi, morto in seguito ad infortunio sul lavoro in Joliet. Qualora gli eredi non avessero persona di loro fiducia da incaricare per la liquidazione della successione, questo ufficio indica l’avvocato Charles Hyde, direttore dell’ufficio legale, ed unisce una procura in inglese con relativa traduzione. Detta procura andrà quindi legalizzata dal console degli Stati Uniti competente e ritornata a questo consolato con cortese sollecitudine e unitamente alla situazione di famiglia del defunto.

Con distintissima considerazione

Il Regio console”

 

C’era anche chi, misteriosamente, “scompariva”. Scompariva magari deliberatamente o per accidenti fortuiti, misteriosi, di cui non è data conoscenza.  Ai nostri emigranti, quando arrivavano ad Ellis Island, capitava spesso che, per difficoltà comunicative con la lingua, chi era preposto a registrarne i nomi, li storpiasse, facendoli diventare persone diverse; c’era chi invece, deliberatamente, intendeva “scomparire” e americanizzava subito il suo nome. Furono parecchi coloro che, una volta arrivati in America, fecero perdere le proprie tracce, deliberatamente o meno.  

 

 

 

 

 

Cuggiono 26 gennaio 1915

Il sindaco di Cuggiono al Regio console d’Italia di San Francisco, California

“Negli ultimi mesi del decorso 1914 trovavasi a Oakland in California il giovane Manera Alessandro di anni 24, reduce per malattia dall’Alaska, dove trovavasi per ragioni di lavoro. Da molti mesi non si è fatto più vivo e l’ultime sue notizie pervennero da Oakland, dove diceva di trovarsi e versare in misere condizioni di salute ed economiche e dove la di lui madre, fino dal 22 dicembre 1914, gli aveva inviato una raccomandata con denaro. La raccomandata venne restituita al mittente per irreperibilità del destinatario ad Oakland, come si legge sulla busta di detta raccomandata. Così posto la signora Manera, per mio tramite, pagherebbe la pregiata Signoria vostra a voler assumere le informazioni del di le figlio premurosamente. Naturalmente si obbliga a rifondere le necessarie spese di rintraccio e di corrispondenza.

Ringraziandola anticipatamente, con osservanza          

Il sindaco di Cuggiono”         

 

San Francisco 1° aprile 1915

Regio consolato generale d’Italia

“Illustrissimo signor sindaco di Cuggiono 

In risposta alla nota del 26 gennaio mi pregio informarla che, malgrado le più diligenti indagini eseguite, non fu possibile rintracciare il nominato Manera Alessandro. Feci anche pubblicare il di lui nome sui giornali italiani locali nella lista dei ricercati da questo regio ufficio ma con risultato negativo.

Con distinta considerazione       

Il regio console”