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 IO E MIO PADRE

 

TENEREZZE

 

Passo`del tempo non se un ora o dieci minuti, a me sembro`una eternita`. Mio padre busso`alla porta della stanzetta e senza aspettare entro`.

Mi guardo`e mi parve di vederlo piu` calmo. E poi una grande sorpresa completamente inaspettata. Stese la mano verso di me e mi diede un cioccolatino di quelli di cui  ero tanto golosa. _”Prendi-mi disse- e` per te.

Si sedette sul letto sembrava molto piu`tranquillo di prima e comincio` a parlare. Mi fece noto che io ero troppo ragazza ancora per capire tante cose. Mi disse che la gente era cattiva e parlava di cose non vere. Poi mi recito’ una poesia che non capii ne` allora ne` adesso. Andava cosi: Un giorno il fumo uscendo da un camino incontro`una nuvola portata in giro dal vento ed orgogliosamente le ordino` di fargli largo………………il resto non ricordo piu`. Mi disse di riflettere si volto`ed usci`dalla stanza .

Confusa e smarrita pensavo alla poesia ma non comprendevo cosa aveva a che fare con me e la trasgressione velata e solo intimata che io avevo commesso. Quando mamma mi interrogo`come sempre faceva dopo che papa` mi parlava non seppi dirle nulla di preciso ma ebbi l’impressione che lei sapeva tutto.

Non era sempre tesa la mia relazione con mio padre.

Ricordo quante notti fredde si alzava e veniva a ricoprirmi mentre dormivo.

Ricordo quando ritornavo da scuola con piede bagnati per aver camminato

Nella neve lui si preoccupava .Metteva altra legna al fuoco e mi faceva scalzare  e asciugarmi i piedi alla fiamma ristoratrice. Uno dei soliti giorni d’inverno tornai a casa e vidi un paio di stivali di gomma felpati vicino al focolare . Mamma me li indico`mi disse di misurarmeli “suono tuoi” disse. Corsi subito, li presi in mano mi tolsi le scarpe e le calze bagnate e misi gli stivali. Come erano caldi, pensai. Cominciai a saltellare in cucina con gli stivali, poi corsi fuori e saltai su tutte le pozzanghere spruzzando acqua in ogni direzione. I miei piedi rimasero asciutti. Forse tutti ridevano a guardarmi ma a me non importava niente. 

Il giorno dopo a scuola le mie amiche mi circondarono volevano vedere da vicino e toccare i miei stivali che nessun altra aveva. Alcune li vollero provare. Se li mettevano e si guardavano di la` e di qua`,facevano qualche passo. A volte dovevo lottare per farmeli restituire. Quando caddi e mi ruppi l’avambraccio. corse a svegliare il medico che fosse venuto subito. Il braccio era tutto gonfio e l’osso rotto sporgeva dalla pelle. A me venne una crisi isterica. Il dolore era insopportabile. Il medico disse che serviva il ghiaccio per il gonfiore. A quel tempo non c’erano frigoriferi il ghiaccio non esisteva. Mio padre voleva fare del tutto per aiutarmi ma non sapeva come. Si guardo`attorno e noto`che sulle cime delle montagne erano ricoperte di neve. Subito chiamo`due dei suoi operai, avvio`il suo camion e si

avviarono verso le montagne. Guido`su viuzze e trattoi di montagne finche`fu possibile. Quando non pote` piu`passare gli operai scalarono il picco con due secchi e li riempirono di neve e ghiaccio. Ritornarono`verso sera. Mi avvolsero il braccio con la neve e cominciai a sentire sollievo del dolore e il gonfiore cedeva. Il giorno dopo il medico mi incesso` il braccio e restai cosi per alcune settimane.                                                                      

Era cosi` con noi un alternarsi di lite e rimproveri ed amore infinito.

Forse ero io che non capivo che quando un genitore ti rimprovera non smette di amarti.

 

 Quando andammo in  America mio padre era diventato molto piu`tollerante nei miei confronti. Non mi trattava piu` come una bambina ma come una donna cresciuta.

La domenica dopo il pranzo mi faceva chiamare le amiche e ci portava a

fare la passeggiata in macchina nelle vie boscose ancora non sviluppate. 

Poi riportava ognuna a casa sua. Era bella e divertente la passeggiata in macchina. Per le piccole stradine nel bosco si incontravano animali che non avevo mai visto. I cervi saltellavano velocemente e graziosamente  attraverso la boscaglia ed erano come se danzassero. Incontravamo pavoni con la coda di bellissimi e vivi colori. Quanto vedeva le lepri ricordava sempre le sue avventure di cacciatore.

A volte quando eravamo soli mi confidava con voce mesta ed occhi tristi scuotendo il capo quanto gli mancava mamma, le altre due figlie e sua madre. Sperava sempre di tornare a Settefrati in un futuro non lontano.

Da figlia testarda e sempre nei pasticci ero diventata la sua confidante di famiglia. Questo nuovo ruolo era molto piu’ piacevole.

 

 

 Delia Socci Skidmore