Home

 

UN ALTRO SABATO....

 

Si avvicinava un altro sabato ed io trepidavo al pensiero di rivedere il ragazzo che aveva tanto colpito  la mia immaginazione.e forse ....forse ....mio cugino mi avrebbe invitata ad andare fuori insieme  a loro. Allora avrei visto anche io cosa voleva  dire  “uscire insieme” . Mi aveva detto che il sabato sera quando uscivano insieme , era comune andare a mangiare la pizza. Sembra che era un cibo che piaceva a tutti.

Andavano al cinema poi facevano “la passeggiata” in macchina. Rientravano verso la mezzanotte. Mezzanotte!! Era cosi lontano e improbabile l’idea di una ragazza restare fuori fino a mezzanotte  col ragazzo, che la mente rifiutava di afferrarne il significato.

Avevo visto le mie amiche in paese anche dopo il fidanzamento e con la data del matrimonio gia’ stabilita, non erano permesse tanto. “Mezzanotte” la parola risuonava  in testa come un tocco di campana. Le due culture in cosi  diretto contrasto facevano un po’paura. Beh mi dissi “ io sarei contenta anche di rientrare alle 11”.

 Mentre ero assorta  a finire le faccende del sabato mattina, entro’ mio cugino. Si era alzato da poco. Mi porse la camicia da stirare come facevo sempre per lui. Era una camicia color rosa chiaro gli dissi che il colore starebbe stato meglio ad una ragazza. Arcuo’ le ciglia mi guardo’ male  mormoro’ qualcosa tra i denti e si sedette ad aspettare. Quella frase non me l’ha mai perdonata e ancora oggi mi dice che lo avevo trattato come una ragazzina. Comunque erano  scambi di stizze comune tra noi due .Ci volevamo bene ma lui voleva fare il boss, a me non andava giu’ e  nascevano i conflitti.

Mentre aspettava che gli stiravo la camicia con grande sorpresa mi domando’ se mi piaceva

il ragazzo dagli occhi blu: John. Sorpresa dalla domanda, ma non volendo che lui si accorgesse

che mi era piaciuto dal principio risposi :”mica tanto!”: mentii. Continuo’ a parlarmi di John, cosi si chiamava,  mi disse che lui e la ragazza erano sempre in disaccordo su tutto e bisticciavano spesso. Si lasciavano per un periodo di tempo poi tornavano insieme. Ma stavolta mi disse che era finita tra loro due e voleva uscire con me .Dissi “ va bene” con distacco e lontananza senza farmi accorgere che l’idea mi piaceva moltissimo e anche più perche’ non me l’aspettavo. Gli stirai la camicia con molta piu’cura prestando particolare attenzione ai polsini  e al colletto. Solo tanti anni dopo gli ho rivelato tutto questo,quando insieme in una riunione di famiglia parlavamo di quei giorni facili e difficili.

Finite le faccende e pranzato  mi sedetti a riposare un po’ e sognare ad occhi aperti.

Uscire con John quella sera mi eccitava. Chissa’...... chissa’ che cos’era questo misterioso

uscire insieme.

Zia Giovanna, si venne a sedere vicina a me. Insieme bevemmo il caffe’ americano che ora io preferivo a quello italiano. Da come mi sorrise mi accorsi che gia’ sapeva dei  piani per la sera. Era ovvio, naturalmente Lenny  lo aveva detto a sua madre prima di dirlo a me.

Mi fece il solito discorsetto come una madre e mi disse che le altre ragazze del gruppo avevano da tempo chiesto che anche io uscissi con loro qualche volta.

Poi mi parlo’ di un altra zia che fra poco sarebbe venuta a prendermi per portami un po’ in giro per la citta’.

Mi disse che era nata in America da genitori provenienti da un paesetto in provincia di Latina.. Era venuta a far parte della famiglia quando aveva sposato mio zio Jerry. Non potrei dire di sicuro, ma mi sembrava di sentire un po’d’ostilta’ nel  tono di voce di mia zia mentre parlava di zia Josy.

Da li’ a poco arrivo’ una bellissima signora  elegantemente vestita. Aveva un bel vestito, guanti bianchi e cappellino. Sotto il cappellino uscivano corti ricci castano rossicicio. Mi sorrise e mi chiamo’ “Della”, cosi mi chiamavano chi era nato in America. Era un nomignolo che  a me andava poco, mi piaceva il nome mio cosi com’era “Delia”  ma non riuscivano a pronunciarlo bene. La nuova zia si sforzava di parlare il nostro dialetto,che lei come tanti altri figli d’italiani ,credeva fosse il vero italiano. Dopo le presentazioni e i saluti mi disse che lo zio ci aspettava giu’ e che volevano portarmi a fare un giro in macchina. Un giro in macchina? Erano venuti per portarmi a passeggio in macchina ? Me lo domandavo incuriosita e sorpresa. Pensavo che forse era un modo di dire, o forse la zia  non aveva detto bene  e si era confusa col dialetto.

Non potevo credere che ero cosi importante  per essersi partiti da tanto lontano solo per portare “Della” a zonzo. Pero’ l’idea mi piaceva , sono importante anche io. mi ripetevo.

Provavo un vero senso di “essere arrivata” ad uno status riservato ai grandi. Poi il dubbio si riaffacciava “ ma che pensi” mi dicevo “sei una ragazzina”.  Scendemmo giu’.Parcheggiato davanti al portone c’era una bella  macchina blu. Mio zio usci’ e mi abbraccio calorosamente, con lacrime agli occhi, mi disse “come assomigli  a mia sorella!!”Lo guardai con occhi interrogativi  Mi disse che era il fratello di mia madre che lui  aveva lasciata tanti anni prima quando giovanetto era venuto in America. Mi affollarono alla mente una valanga di pensieri e domande senza risposta. Mi accorsi quanto era numerosa la mia famiglia, quanti zii e cugini non conoscevo. Pensavo a quante volte la famiglia si era separata dai genitori, da fratelli e sorelle e da tutto cio’ che ritenevano caro, per partire salpare l’oceano per una terra lontana e sconosciuta. Povere care nonne erano rimaste vedove e sole avevano cresciute due numerose famiglie. Come avevano sofferto a separasi dai figli giovanissimi che forse non avrebbero piu’ rivisti. Li avevano salutati benedicendoli  senza  farsi accorgere del profondo  dolore che le straziava. Siete le mie eroine mie care nonne. Credo che nessuno si accorse del mio turbamento. Salii in macchina, come tutto il resto in America l’auto era grande e spaziosa. Poteva fare posto comodamente  facilmente a sei p4 persone.

Ci avviammo in giro per le strade della citta’. Strade che ancora non avevo scoperto. Col finestrino aperto la brezza invadeva l’auto e alleviava la calura del pomeriggio.Arrivammo in una strada molto trafficata.

Mio zio parcheggio’la macchina in un parking garage coperto dove  erano gia’ parcheggiate moltissime altre. I posti di parcheggio erano delineati da  striscie gialle. Davanti a noi c’era un grande palazzo tutto bianco.

Di fronte al palazzo attaccata al muro un’enorme lettera “B”. Il palazzo  aveva due pareti di vetro. Da fuori  si vedevano tanti luci e manichini con eleganti abbigliamenti.I manichini erano tanto belli che sembravano vivi. Credevo che si trattasse di un posto di spettacolo,forse un teatro.

Entrammo alla porta girevole di vetro. Appena dentro si apri’ uno spettacolo di luci, fiori, pavimenti di marmo e specchi. La sala era enorme . Di la e di qua c’erano lunghe file  di  vestiti  per donne Ai cartellini che spiccavano dai vestiti si riconoscevano nomi di famosi stilisti francesi e italiani. Il centro dell’immensa sala  era cosparso di vetrine risplendenti di gioielli, profumi , cappellini  e  prodotti di bellezza. Con tutto questo  nella sala rimaneva abbastanza spazio per muoversi liberamente da una vetrina e l’altra. Come tutto in America  anche il negozio BLOOMINGDALE *era spazioso, comodo, ordinato, elegante.

Mia zia mi indico’ una fila di vestiti per giovane donne. Erano molto carini e di colori tenui e delicati. Mi disse “ vedi dresse pe ghella” Voleva dire “ look dressess for girls”ovvero “vedi i vestiti per  ragazze” Era quella specie di dialetto nato dalla necessita’ di farsi capire e capire gli italiani venuti dalla diverse province  e regioni dove in ogni paese si parlava un dialetto diverso e che gli italiani avevano portato con loro. Poi i giovani nati qui da genitori italiani parlavano  il dialetto dei loro genitori punteggiato con parole americane italianizzate o dovrei dire “ dialettizzato”. Capii  che mia zia voleva che scegliessi un vestito. Con lei aveva portata anche una sua nipote una ragazza  della mia eta’ per farmi sentire a mio  agio. Paola, che non parlava italiano , mi prese per la mano e mi condusse verso la fila di vestiti.

C’era tanto da scegliere: tipo di vestiti colore e stile.Fu una impresa difficile decidere quali  mi piacevano di piu. Alla fine scelsi un vestino rosa  adorno di merletti. Il corpo era aderente  e la gonna molto ampia. Paola mi prese di nuovo per la mano e insieme entrammo nel camerino per misurarmi il vestito. Lei rimase discretamente fuori la porta. Mi provai  il vestitino rosa, mi guardai da tutti gli angoli nei grandi specchi che adornavano il camerino e mi piacque molto come mi stava il colore e il modello  Quando uscii dal camerino per farmi vedere trovai mia zia e la nipote che mi aspettavano. Guardarono me....... si guardarono e sorrisero. Mi pareva che approvavano della mia scelta. Poi mia zia mi porse una sottoveste fatta di trine e merletti molto ampia. Mi fece segno di provarla sotto la veste. Mi disse “attraia attraia” attraia era una parola derivata dall’inglese “try it on” e dall’italiano provala ,mettila per vedere come va.

Provai  la sottoveste , andava veramente bene col nuovo ampio vestito. Lo metteva in evidenza. Paola sorrise e fece di si col capo .Anche zia Josy disse che andava bene.

Anche io ero felicissima della scelta che non era stata facile. Poi mi indicarono il reparto della calzature. Le scarpe stavano diventando la mia passione. Zia Josy mi disse di scegliere le scarpe che piu’ mi piacevano. C’erano dozzine di paia tutte esposte su scaffali di vetro.Se la scelta del vestito era stata difficile, scegliere le scarpe era quasi impossibile. C’erano con tacco alto, mezzo tacco, basse  e di ogni colore e misura. Provai  diverse paia, mi piacevano tutte .

Alla fine scelsi un paio con tacco alto di colore bianco. Le misurai sotto il vestito rosa con l’ampia sottogonna. Andavano veramente bene. Paola sorrise e anche io. Il mio sorriso veniva dal   pensiero che quella sera sarei uscita col ragazzo che mi piaceva, vestita proprio come un americana.