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Biden v/s Trump visto dall'Italia  

 

 

 

 

 

 

Perché alle Presidenziali americane del 2024 trionferà la gerontocrazia

 di Giuseppe De Bellis

 

 

Anno 1984. La corsa verso la Casa Bianca era Reagan-Mondale. Il presidente in carica aveva 73 anni. Verso la fine della campagna elettorale, in un giorno particolarmente stressante e complicato, durante il consueto punto stampa con i giornalisti del pool che lo seguivano ovunque, un cronista gli chiese se si sentisse stanco. Reagan, al quale mancavano poche cose e di certo non la prontezza, rispose: «Non sfrutterò la questione dell’età, non la userò per dire che il mio rivale è troppo giovane e inesperto». Mondale aveva 56 anni.
 

Quarant’anni dopo, ovvero oggi, siamo al paradosso in cui un candidato di 73 anni sarebbe nella posizione dell’allora sfidante democratico. Sarebbe il giovane. Perché, lo sappiamo, ed è uno degli argomenti di maggior dibattito su queste elezioni 2024, gli Usa sono diventati una gerontocrazia. Joe Biden ha 81 anni, Donald Trump 77: chiunque vinca, alla Casa Bianca avremo un presidente anziano.

 

È un male? Non necessariamente. Ma è un argomento politicamente rilevante: prontezza, forza fisica, lucidità sono o no qualità richieste al leader della principale democrazia del mondo? E lo sono soprattutto ora che il pianeta è in una delle crisi geopolitiche più profonde degli ultimi trent’anni? Il dibattito è serio e tutt’altro che banale. Le posizioni non sono unanimi e negli ultimi tempi, compreso chiaramente dall’inizio delle primarie repubblicane che la sfida sarebbe stata quella annunciata tra il presidente in carica e il suo predecessore, sono comparsi anche molti negazionisti della gerontocrazia. A loro parere il problema non è l’età, anche perché a guardar bene non sarebbero poi così vecchi. A sostegno della tesi c’è la seguente considerazione: in termini relativi alla durata della vita dell’epoca, rispetto ai loro predecessori, i due candidati attuali non sono un’eccezione. Biden, ispirandosi alla battuta pronta di Reagan, qualche tempo fa fece a sua volta una battuta sulla sua età: «James Madison era un mio coetaneo». Madison divenne presidente a 57 anni nel 1809, ed era il leader di un Paese la cui aspettativa di vita era di circa 28 anni. In termini relativi, quindi, seguendo questo ragionamento, era molto più anziano di Biden e di Trump, che guiderebbero un Paese con un’aspettativa di vita media di 76 anni (peraltro in calo per effetto dello stile di vita degli americani negli ultimi tempi).

 

Battute e analisi statistico-sociologiche a parte, è quantomeno sciocco non considerare la questione gerontocratica un non problema. Lo è, eccome. Un problema politico, non personale. Un problema di crisi di leadership, di rappresentanza, di rinnovamento e di qualunque altra cosa vi venga in mente rispetto a ciò che per anni ha caratterizzato la politica americana: il dinamismo, la capacità di autogenerazione e di vivere perennemente al passo con i tempi. È il contrario di ciò che è successo da noi, in Italia. Per anni il confronto è stato polarizzato da Berlusconi e Prodi, invecchiati litigando e alternandosi per un po’, prima che uno si ritirasse e l’altro restasse sulla cresta della politica tra alti e bassi fino alla sua morte. Poi però l’Italia ha svoltato: Renzi, Letta, Conte, Meloni, con eccezione di Mario Draghi, sono under 60 o addirittura under 50.

 

Gli Usa si sono involuti e adesso in discussione non c’è soltanto la data di nascita dei due contendenti alla Casa Bianca, ma ci sono molte altre cose: la prima è che Trump è alla sua terza campagna elettorale presidenziale consecutiva; Joe Biden ha cercato di arrivare alla nomination democratica per la prima volta nel 1988: c’era ancora il Muro di Berlino e il presidente uscente era proprio quel Ronald Reagan che eletto a 69 anni nel 1981 sembrava essere vecchissimo; ci ha riprovato nel 2004, ritirandosi, poi nel 2008 è entrato nel ticket con Barack Obama da vicepresidente. Quei due mandati alla Casa Bianca da numero due erano il contributo di esperienza e di conoscenza di un presidente eletto a meno di 50 anni. Una coppia perfetta. La sua candidatura nel 2020 fu vissuta come l’alternativa democraticamente ortodossa alla sregolatezza trumpiana. L’età in quel momento era già una questione aperta, ma paradossalmente divenne un punto di forza: l’ultra adulto old style contro un adolescente in terza età.

Oggi siamo in una situazione opposta. Come detto il tema è politico: segna l’incapacità della democrazia americana di trovare facce, storie, idee che possano costruire una leadership credibile e interessante. Siamo stati quattro anni a cercare un’alternativa possibile per entrambi gli schieramenti e la ricerca è stata più che vana; abbiamo sperato che sia Biden, sia Trump, in uno slancio di autocoscienza uscissero allo scoperto dicendo: no, io no, non è più il mio tempo. Ma niente. Anzi: l’ostinazione con cui sia il presidente in carica, sia il suo predecessore a caccia di rivincita, si sono imposti è direttamente proporzionale alla loro anagrafe.

 

 

 

 

Biden o Trump, quale politica estera in Usa dopo il 2024

 

   di Askanews

Joe Biden e Donald Trump hanno idee opposte sulla politica estera e sulla proiezione americana sullo scenario globale, ma la situazione contingente imporrà anche alcuni elementi di continuità all'indomani del voto presidenziale del 2024.È quanto è emerso dall'incontro organizzato dal Centro Studi Americani, dal titolo "L'America e la leadership mondiale dopo il voto", con la giornalista e conduttrice Monica Maggioni, Alessandro Colombo, professore di Relazioni internazionali presso l'Università di Milano, e l'esperto di Medio Oriente dell'Atlantic Council Karim Mezran.Maggioni ha sottolineato come sia difficile prevedere il comportamento della futura Amministrazione "in un momento di altissima disruption globale": e se le differenze fra i due candidati sono strutturali "non è ancora detto che a giocarsela siano proprio loro: Nikki Haley non ha ancora rinunciato e ci sono i problemi legali di Trump".Per Biden tuttavia la difficoltà principale potrebbe trovarsi nell'andare alle urne con i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente ancora aperti: una situazione da cui Trump potrebbe trarre vantaggio poiché "dà risposte semplici a un elettorato al quale non importa molto delle questioni di politica estera".

Colombo da parte sua sottolinea tre temi su cui tutte le ultime Amministrazioni hanno dovuto confrontarsi: "Un problema, e cioè che il ruolo egemonico degli Stati uniti non è più perseguibile e quindi trovare un equilibrio fra risorse e impegni; un dilemma, ovvero in che modo rendere sostenibili gli impegni senza perdere credibilità, come accaduto con i ritiri dall'Iraq e dall'Afghanistan; e una priorità, la Cina".E tuttavia, vi sono molte differenze fra i due candidati: una di linguaggio, con Biden che "è convinto della superiorità americana in termini di soft power mentre Trump è completamente disinteressato alla questione"; l'altra sul multilateralismo, di cui Biden è un convinto assertore mentre Trump vuole avere le mani libere.Per Mezran a decidere l'esito delle elezioni saranno soprattutto le questioni economiche; ma mentre Biden difende l'idea di una governance globale, Trump (ma non necessariamente tutto il partito Repubblicano) nega questa possibilità con il suo Make America Great Again.Anche la politica estera tuttavia conterà qualcosa sullo scenario elettorale: la questione cinese preoccupa i colletti blu mentre il conflitto israelo-palestinese potrebbe aver alienato a Biden il voto di una parte dei giovani e delle minoranze - fattore non trascurabile in quello che si preannuncia un testa a testa.Infine, le conseguenze sull'Europa e in particolare la Difesa europea. Non è detto che con una vittoria di Trump un disimpegno parziale degli Stati Uniti porti a un aumento della coerenza e dell'impegno europei, nota Colombo: anzi, in passato è accaduto esattamente il contrario.L'Europa, alle prese con una maggiore unione politica e militare, deve infatti "decidere in anticipo chi comanda, e questa è una domanda sempre divisiva"; inoltre, i conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente aumenteranno le difficoltà di coesione all'interno dell'Ue: per l'Europa centrale e settentrionale la chiave della sicurezza ora è a Est, mentre per quella meridionale è a sud "ed è difficile avere una politica comune quando si hanno preoccupazioni diverse".

 

 

Biden-Trump, inconfessabili convergenze sull’Ucraina?

     di Federico Rampini

 

Sarebbe davvero radicalmente diversa la politica di Donald Trump sull’Ucraina, se dovesse tornare lui alla presidenza degli Stati Uniti? Forse un po’ meno di quanto si dice. Sia perché Trump non è così anti-ucraino come sembra. Sia perché Biden non è determinato come lui vorrebbe far credere.